Dell’avvocata Ilaria Salvemme
Responsabile Servizio Legale AIED L’Aquila
Questa è la storia di una ragazza, ventenne, che come la stragrande maggioranza delle ventenni della sua generazione, nel XXI secolo, decide di vivere la propria relazione sentimentale e sessuale avvalendosi anche dei mezzi tecnologici e dei dispositivi informatici a sua disposizione.
Un giorno invia al suo fidanzato delle foto che la ritraggono in atteggiamenti intimi e sessualmente espliciti. Lui, ricevutele, ha la ‘brillante’ idea di inoltrarle, senza preventivamente chiederle il permesso, alla chat degli amici del calcetto.
In una città piccolo-borghese e moralista le foto e i video divengono virali, passando di chat in chat. Tuttavia, mentre il gesto di lui, penalmente rilevante, si trasforma in una piccola goliardata, la vittima del reato, diffamata e dileggiata, finisce per assumere il ruolo della “svergognata”. Apostrofandola in questo modo, infatti, la dirigente dell’Asilo nido presso cui lavora – adorata dai bambini e anche dai genitori – decide di licenziarla.
Prendiamo in prestito le parole con le quali la ragazza descrive e racconta la sua vicenda.
In occasione di una riunione convocata dalla dirigente scolastica, racconta di aver subito «un processo sommario. La direttrice mi apostrofò con frasi irripetibili e mi disse che era meglio me ne andassi spontaneamente, altrimenti avrebbe dovuto scrivere sulla lettera di licenziamento il motivo. E aggiunse che non avrei trovato più lavoro, che non mi avrebbero assunta neanche per pulire i cessi della stazione. Che su di me ci sarebbe stato un marchio indelebile […] un marchio che avrebbe fatto capire a tutti che ero una poco di buono. Non mi sono mai sentita così umiliata nella mia vita».
Quanto alle sue colleghe, dice: «anche loro mi hanno accusato senza neanche cercare di capire cosa fosse successo. Contro di me solo tanta cattiveria. Nessuna mi ha difeso quando sono stata messa alla gogna». «Per la scuola e la direttrice ero diventata una cattiva maestra per quello che era successo nella mia vita privata. Per questo sono stata obbligata alle dimissioni, ma non c’erano elementi per giustificare il licenziamento». Leggi qui l’intervista completa a cura di S. Lorenzetti.
Dinanzi a uno scenario tanto assurdo, che vede la vittima di un reato miserabile trasformarsi in una persona indegna, isolata da tutti nel contesto professionale e familiare, è necessario ristabilire la verità e recuperare una seria visione della realtà.